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Circa 900 morti. E’ il bilancio, approssimativo, dell’ultima strage consumatasi in questi giorni nel mar Mediterraneo. Una nave carica di persone provenienti dal nord Africa è affondata insieme al suo carico di donne, uomini e bambini che scappavano da Paesi in cui non riuscivano a condurre una vita dignitosa, dove ci sono guerre o carestie dovute ai cambiamenti climatici, dove non potevano esprimere il proprio credo, non potevano vivere in maniera serena e pubblica la loro sessualità, non potevano vivere liberi, e tentavano di raggiungere l’Europa. Abbiamo solo un numero, per giunta approssimativo. Non sappiamo quanti siano davvero le persone morte. Non conosciamo i loro nomi, come se non avessero un’identità. Non conosciamo le loro storie, come se non avessero una storia o una speranza di futuro. Sono solo un numero. A volte li chiamiamo profughi, a volte migranti, a volte clandestini.

Qualche mese fa abbiamo ascoltato il punto di vista di Ali e Rosario. Ali è uno di quelli che ce l’ha fatta. E’ partito dall’Eritrea, paese in guerra, ha attraversato il Mediterraneo e dopo tante peripezie ha studiato in Italia, è diventato infermiere e adesso lavora presso una clinica oncologica. E’ uno di quelli che possiamo chiamare per nome, di cui conosciamo la storia e che è riuscito ad avere l’opportunità di vivere le sue aspirazioni future. Rosario è uno dei tanti volontari che ogni giorno, finito il proprio lavoro, si dedicano ad garantire a chi arriva nelle coste italiane i diritti fondamentali, la tutela della salute, a soddisfare le prime necessità, a garantire la loro dignità.

Nessuno lascia casa sua se non è obbligato a farlo. Bisogna ripartire da una nuova idea per la politica migratoria europea. Ali e Rosario ci hanno proposto di superare il concetto di beneficienza e arrivare al concetto di cooperazione. In un momento in cui tutti parlano e propongono soluzioni, rivediamo l’intervento di Ali e Rosario, proviamo ad allargare i nostri confini e lavorare affinché queste tragedie non si ripetano più.