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A due velocità, dei popoli, dei mercati, delle libertà civili, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in poi, l’Europa si è lentamente trasformata da “mera espressione geografica”, scomodando e parafrasando Metternich, in qualcosa di nuovo e senza precedenti: a cavallo tra regionalismi e federalismi, tra chi la ama e chi la odia, questa Unione ha assicurato pace e benessere diffuso a molti.
Ma una delle critiche più frequenti vede le istituzioni europee accusate di aver posto l’accento sull’integrazione economia, la cui massima espressione è rappresentata indubbiamente dalla fine delle valute nazionali e la nascita dell’Euro, dimenticando l’integrazione sociale e, di conseguenza, lasciando indietro le fasce più deboli ed emarginate della popolazione, ovvero quei soggetti che potrebbero trarre il maggior beneficio dall’appartenenza alla famiglia europea.
Per capire se esiste davvero un problema di “disintegrazione sociale” del progetto europeo, ed eventualmente quale potrebbe essere la soluzione, abbiamo invitato Maria Antonia Panascì, con la quale faremo un viaggio che, partendo dalle origini dell’Europa politica, traccia un immaginario fil rouge fino alla sua personale esperienza di emigrante intellettuale, e di cosa ha imparato nel suo cammino.
Maria Antonia Panascì è dottoranda in diritto dell’Unione Europea presso la Durham Law School (Regno Unito), e assegnataria di borsa di ricerca finanziata dall’Arts and Humanities Research Council (AHRC). Nell’anno accademico 2018-2019 è stata Visiting Doctoral Researcher presso la New York University School of Law e precedentemente Co-Convenor del Durham European Law Institute. Ha conseguito con lode la laura magistrale in Giurisprudenza presso l’Università di Catania nonchè il Diploma di licenza magistrale presso la Scuola Superiore di Catania.