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Quale nesso intercorre nel mondo globalizzato tra sistema economico e democrazia? Quali poteri governano realmente le nostre esistenze? Il capitalismo è compatibile con un modello di società autenticamente democratico?
Yanis Varoufakis, già Ministro delle finanze greco durante la durissima crisi economica greca del 2015 e fondatore del Democracy in Europe Movement 2025 (DiEM25), tenta di rispondere a questi affascinanti interrogativi in un talk tratto dal TEDGlobal di Ginevra.
Secondo il politico ellenico, i Paesi occidentali tendono a dare per scontato il sistema democratico, considerandola un dato ormai acquisito, e a ritenere erroneamente che il capitalismo generi inevitabilmente democrazia.
«Poco tempo fa, quando rappresentavo la Grecia, il neo-eletto Governo greco, ed ero nell’Eurogruppo come ministro delle Finanze, mi è stato detto senza mezzi termini che non era possibile permettere al nostro processo democratico, alle nostre elezioni, di interferire con le politiche economiche da implementare in Grecia».
L’aneddoto riportato da Varoufakis testimonia a suo parere come il sistema capitalistico ritenga, in ultima analisi, di poter prescindere dai processi democratici propri degli Stati, imponendo ai decisori politici nazionali scelte assunte da istituzioni e gruppi (formali o meno) privi della necessaria legittimazione democratica.
La vicenda greca, di cui l’ex ministro delle Finanze fu uno dei protagonisti, è nota: nel 2015 l’esecutivo di coalizione tra SYRIZA e ANEL, guidato da Alexis Tsipras, fermo oppositore delle politiche di austerity europee, che avevano fortemente colpito il tessuto sociale del Paese, indisse un referendum consultivo sul piano proposto dai creditori internazionali (la Commissione europea, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale, la cosiddetta troika) in cambio di un nuovo programma di supporto finanziario. La consultazione referendaria, celebrata il 5 luglio dello stesso anno, vide la netta affermazione dell’OXI (il rifiuto del piano), con oltre il 60% dei voti. Malgrado la netta affermazione dei contrari alla proposta dei creditori, Varoufakis, considerato una figura d’ostacolo al raggiungimento di un’intesa con l’Eurogruppo, rassegnò le proprie dimissioni da ministro. La notte tra il 12 e il 13 luglio, tuttavia, fu siglato un memorandum che proponeva misure di austerità ancora più dure di quelle già bocciate dagli elettori greci. Varoufakis, che si oppose all’accordo siglato da Tsipras con i creditori, giudicato come “una capitolazione”, si dimise da SYRIZA e l’anno successivo fondò DiEM25, movimento che si propone come principale obiettivo una democratizzazione delle istituzioni europee.
La principale accusa che l’ex ministro greco rivolge al capitalismo nel suo talk è quella di essere un sistema economico che produce un enorme spreco di risorse, lasciando inattive ingenti quantità di ricchezza che potrebbero essere utilizzate a beneficio della collettività, ad esempio per finanziare le tecnologie verdi indispensabili per salvare il pianeta. Varoufakis, per illustrare questo concetto, ricorre a quello che ha battezzato paradosso dei picchi gemelli:
«A proposito di sprechi, permettetemi di sottolineare un paradosso interessante che minaccia le nostre economie mentre parliamo. Lo chiamo il paradosso dei picchi gemelli. Un picco lo capite, lo conoscete, lo riconoscete. È la montagna del debito, che ha proiettato una lunga ombra sugli Stati Uniti, sull’Europa e sul mondo. Riconosciamo tutti la montagna dei debiti. Ma pochi notano la sua gemella: una montagna di ricchezza inattiva, che appartiene ai risparmiatori più facoltosi e alle aziende, troppo spaventati per investirla in attività produttive capaci di generare i redditi con cui potremmo estinguere la montagna del debito, e che potrebbe produrre tutto ciò di cui l’umanità ha disperato bisogno, come le energie rinnovabili. […] Quindi una montagna di debiti, e una montagna di denaro inattivo formano picchi gemelli che non riescono a compensarsi attraverso i normali meccanismi di mercato».
Ma il vero punctum dolens dell’attuale paradigma economico, a parere dell’ex ministro greco, sarebbe costituito dalla netta separazione tra sfera politica ed economica, che rende quest’ultima impermeabile ai processi democratici:
«Se la democrazia ateniese era focalizzata sui cittadini senza padrone e dava potere ai lavoratori poveri, le nostre democrazie liberali sono fondate sulla tradizione della Magna Carta, che era, in fin dei conti, una carta per i padroni. E, infatti, la democrazia liberale apparve solo quando fu possibile separare completamente la sfera politica dalla sfera economica, così da confinare il processo democratico completamente nella sfera politica, lasciando la sfera economica – le aziende, se preferite – libera dai controlli democratici […] oggi si può essere al Governo e non al potere, perché il potere è migrato dalla sfera politica alla sfera economica, che sono separate».
In effetti, sempre più spesso sentiamo i politici giustificare le proprie decisioni con formule standard ed espedienti retorici quali “ce lo chiede l’Europa” o “ questo è quello che vogliono i mercati”. Insomma, un altro modo per ribadire il “There is no alternative” (TINA) di thatcheriana memoria: non esistono alternative al sistema neoliberista e alle sue politiche predatorie; l’ideologia del mercato è l’unica via percorribile per garantire le magnifiche sorti e progressive dell’umanità. In questo modo la politica si è appiattita sulla realtà economica attuale, considerata un elemento eterno ed immutabile – quasi un dato di natura – e rinunciando ad ogni prospettiva di cambiamento. Nelle attuali classi dirigenti risulta del tutto assente una visione trasformativa della realtà, a dimostrazione dell’incapacità di fondo di immaginare una società differente. In effetti, se le decisioni di peso sono pilotate da attori anonimi, o comunque difficilmente individuabili (i mercati, la finanza, ecc.) viene meno il meccanismo della responsabilità politica (e delle eventuali sanzioni alla classe politica) su cui si fondano le democrazie contemporanee: da un lato il reale decisore assume contorni indefiniti e ineffabili, dall’altro, esso non può essere chiamato a rispondere delle proprie scelte davanti agli elettori o agli organi rappresentativi.
Nel talk sono ipotizzate alcune soluzioni per realizzare una democrazia piena e compiuta. Innanzitutto, secondo lo speaker la priorità è ricondurre la sfera economica sotto il controllo di quella politica, con una democratizzazione dei processi economici e produttivi:
«La soluzione è ricongiungere la sfere politiche ed economiche; e sarà meglio farlo col demos al potere, come nell’antica Atene, ma senza gli schiavi, o l’esclusione delle donne e dei migranti».
Lo speaker ritiene improbabile che i lavoratori poveri possano tornare al potere, come nell’antica Atene, senza generare nuove forme di brutalità e di spreco. Il rimedio che propone è dunque radicale:
«Ma esiste una soluzione: eliminare i lavoratori poveri! Il capitalismo lo sta facendo rimpiazzando i lavoratori a basso stipendio con automi, macchine, robot. Il problema è che, finché la sfera economica e politica restano separate, l’automazione innalzerà i picchi gemelli, aumentando lo spreco ed esacerbando il conflitto sociale, raggiungendo, credo presto, anche paesi come la Cina. Quindi dobbiamo riorganizzarci, dobbiamo riunire le sfere economica e politica, ma sarà meglio farlo democratizzando la sfera riunificata, per non ritrovarci con una iperautocrazia ipervigilante che farebbe sembrare Matrix, il film, un documentario».
Nel talk sono prospettati due distinti scenari per il post-capitalismo:
«Quindi la domanda non è se il capitalismo sopravviverà alle innovazioni tecnologiche che stanno nascendo. La domanda più interessante è se il capitalismo sarà seguito da una distopia simile a Matrix, o da qualcosa di molto più simile alla società di Star Trek, dove le macchine servono gli umani, e gli umani usano le loro energie per esplorare l’Universo e concedersi il lusso di lunghe discussioni sul significato della vita, in una rivisitazione high tech dell’antica agorà ateniese».
Varoufakis immagina, per il futuro, che le aziende siano possedute dai lavoratori, con una generalizzazione del modello cooperativo che porti al definitivo superamento della divisione tra capitale e lavoro, e dello stesso concetto di lavoro salariato:
«Al livello delle aziende, immaginate un mercato di capitali, dove potete guadagnare capitale lavorando, e dove il capitale vi segue da un lavoro all’altro, da un’azienda a un’altra, e l’azienda, qualunque sia quella per cui state lavorando in quel momento, sia solamente proprietà di coloro che ci stanno lavorando in quel momento. Allora tutti i redditi saranno generati dal capitale, dai profitti, e il concetto stesso di lavoro salariato diventa obsoleto. Fine della divisione tra chi possiede un’azienda, ma non ci lavora, e chi lavora nell’azienda ma non la possiede; fine del tiro alla fune tra capitale e lavoro; fine del grande divario tra investimenti e risparmi; e quindi, fine dei picchi gemelli stratosferici».
L’ex ministro greco, inoltre, suggerisce di adottare una moneta globale, come proposto da John Maynard Keynes nel 1944 alla Conferenza di Bretton Woods. Infatti, a differenza degli anni ‘40, oggi avremmo la tecnologia necessaria per implementare in maniera efficace una soluzione del genere:
«A livello di politica economica globale, immaginate per un istante che la nostra moneta nazionale abbia un tasso di cambio libero di fluttuare, con una moneta digitale universale, globale, emessa dal Fondo Monetario Internazionale, il G20, per conto di tutta l’umanità. E immaginate, inoltre, che tutti gli scambi internazionali siano effettuati con questa moneta – chiamiamola cosmos – con ogni Governo che accetti di pagare a un fondo comune una quantità di cosmos proporzionale al deficit commerciale del paese o addirittura al surplus commerciale del paese. E immaginate che quel fondo sia utilizzato per investire in tecnologie verdi, soprattutto nelle parti del mondo dove i fondi per l’investimento sono scarsi».
Varoufakis, a conclusione del suo talk, definisce la sua idea di società come libertaria, marxista e keynesiana:
«Il mondo che vi sto descrivendo è al tempo stesso libertariano, poiché dà la priorità alle persone; marxista, poiché relega al dimenticatoio della storia la divisione tra capitale e lavoro; e keynesiano, keynesiano globale. Ma soprattutto, è un mondo in cui saremo capaci di immaginare un’autentica democrazia».
L’inevitabile superamento del capitalismo, quindi, ci pone davanti a scenari diametralmente opposti: in alcuni è prospettato un futuro di prosperità e benessere per l’umanità, altri appaiono decisamente inquietanti. La scelta del modello che sorgerà dalle ceneri di quello attuale sarà cruciale per il pianeta e per le generazioni future. Riusciremo a rendere questa decisione realmente democratica?
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