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In un mondo sempre in movimento, in una realtà frenetica in cui il mito della “compagnia” diventa prerogativa di benessere e la solitudine una condizione da evitare categoricamente, ci si sente spesso sotto i riflettori di una pressione sociale che ci vuole tutti uniti, in famiglia così come nel lavoro, mai distanti, mai soli. È comprensibile come in quest’ottica si tenda ad identificare la realizzazione personale con la propria situazione sentimentale demonizzando un’ipotetica indipendenza che perdura con l’avanzare degli anni.

Jen Ruiz, scrittrice e avvocato, nel suo talk The power of flying solo ne diviene portavoce: «Nonostante i miei sforzi fossero massimi, non avevo un marito, nè figli, nè animali domestici, nè piante. All’inizio non era un grosso problema, ma poi tutti quelli che conoscevo iniziarono a sposarsi e ad avere figli. Mi sono ritrovata a celebrare le pietre miliari della vita degli altri, chiedendomi perché non stava ancora accadendo a me». Quando i canoni della felicità sono pochi e tipizzati l’insoddisfazione è una triste conseguenza di chi non riesce a riconoscersi in schemi così rigidi; ma cosa succederebbe se questi canoni venissero ampliati, estesi a realtà più grandi, diverse, inclusive? Come ci comporteremmo se anteponessimo la nostra personale felicità ai dettami esterni? La speaker ce lo racconta tramite un’esperienza che ha vissuto in prima persona; lei, infatti, un giorno sfidando inevitabili limiti imposti da una società sempre restia al cambiamento, decide di fare 12 viaggi in 12 mesi e vedere il mondo da sola prima del suo 30° compleanno. Viaggiare è da sempre considerata una classica attività di gruppo, piacevole solo se in compagnia, talvolta funzionale alla formazione stessa di un gruppo numeroso.
Ma lei stessa afferma «ho scoperto che c’è dell’energia nel volare soli e che il viaggiare soli può essere trasformativo e terapeutico».
Così facendo è riuscita a trovare un perfetto compromesso tra la vacanza che stava vivendo e il lavoro che la sosteneva, arrivando addirittura a bilanciare visite alle città con lezioni di inglese online e con la sua attività forense a tempo pieno. «È stato tutto possibile perché ero sola. Ho potuto così indirizzare tutto il mio tempo libero e le mie energie nel raggiungimento del mio obiettivo» spiega la speaker fornendoci un punto di vista illuminante in merito; l’indipendenza diventa così un forte trampolino di lancio per esperienze uniche e altrimenti impossibili da sperimentare.
La magia del viaggiare soli può infatti regalare un’inaspettata riscoperta del proprio io, tempo e spazio per conoscersi, capirsi, amarsi, odiarsi. La solitudine diventa così motivo di una potenziale riappropiazione di sè che migliora ogni interazione che abbiamo con noi stessi e con gli altri.
Jen sostiene «Stare da soli non è una condizione da temere o da evitare; è una fase della vita ricorrente che dovrebbe essere abbracciata. Non durerà per sempre, lo prometto. Le persone vanno e vengono nelle nostre vite. Ma devi imparare ad amare lo stare da solo perché essere solo è l’impostazione predefinita. Non puoi scappare, non puoi evitarlo; devi solo viverlo. Ho fatto la maggior parte dei miei viaggi da sola e stare da sola è finito per diventare il mio modo di viaggiare preferito. Se avessi avuto altre persone con me, non sarei mai stata in grado di sperimentare quella che chiamo magia di viaggiare soli».
«Non è necessario organizzare una festa con 200 persone per avere un giorno speciale. Hai solo bisogno di una nuova avventura. Vai a trovarne una. Fai una gita di un giorno o un lungo weekend da lì, da qualche parte. Non ti ci vorrà molto per vedere che c’è tanta energia nel volare da solo. E la parte migliore è che hai già tutto ciò di cui hai bisogno per iniziare a scoprirlo».
Adesso, quindi, resta (solo) una cosa da fare: prendere un aereo e partire!