La scuola uccide la creatività?

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«Essere se stessi è una virtù esclusiva dei bambini, dei matti e dei solitari».

Fabrizio De André

La scuola uccide la creatività? È da questo interrogativo che nasce l’ironico e critico TED talk, realizzato nel 2006 da Sir Ken Robinson, il quale analizza il ruolo svolto dall’istruzione, su scala mondiale, nell’educazione di un bambino.
Quante volte avete avuto la sensazione di non venire valorizzati nel contesto scolastico in cui vi trovavate? Quante volte si attribuisce una difficoltà didattica a una mancanza d’impegno o ad una carenza? Robinson individua la causa di questi problemi in un problema a monte, un difetto nelle fondamenta del sistema educativo.

Sembra che in ogni parte del mondo la gerarchia delle materie da studiare sia identica: le discipline matematiche e le lingue hanno più importanza di quelle umanistiche e in coda a queste si pone l’arte. Perché, in ogni sistema educativo, l’arte conta meno delle altre discipline?
La conclusione a cui Robinson perviene è che tutti i sistemi scolastici siano strutturati in modo rigido sull’ammissione all’università e che le abilità richieste ai ragazzi siano soltanto quelle accademiche. Il sistema educativo nasce sulla scorta del fabbisogno industriale e le materie più utili al lavoro si trovano in cima alla scala gerarchica. Da ciò nasce un modello standardizzato in cui molte persone creative, valutate in discipline che non competono loro o per cui nutrono scarso interesse, sono svalutate e il talento che possiedono stigmatizzato.

«Mio padre in fondo aveva anche ragione a dir che la pensione è davvero importante
Mia madre non aveva poi sbagliato a dir che un laureato conta più d’un cantante».

L’avvelenata, Francesco Guccini

Tale modello ha anche generato un processo che Robinson definisce come di «inflazione accademica». Una volta continuare gli studi fino alla laurea voleva dire trovare velocemente un lavoro, oggi per un neolaureato trovare lavoro è sempre complesso, se non impossibile, senza specializzazioni o dottorati.
La soluzione è «ripensare radicalmente la nostra idea di intelligenza», all’infuori di ciò che riconosciamo come dotto o accademico. L’intelligenza umana è varia, interattiva e sempre in movimento perciò pretendere di incanalarla in percorsi di studio standardizzati appare come un’assurdità.
Nessuno di noi conosce il futuro o ha capacità di immaginare con esattezza come sarà il mondo che troveranno le prossime generazioni, ma è a questo tempo che spetta il compito di costruire sistemi educativi per chi vivrà il prossimo. I bambini, più di ogni altro, sono dotati di capacità creative, talenti, che per i motivi sopra citati, spesso non sono valorizzati. Il sistema industriale non ammette errori e la struttura scolastica che ne è conseguita li evita, fino a negare la creatività. I bambini sono creativi perché non hanno paura di sbagliare. Quante volte la paura di sbagliare ci impedisce di agire e annulla la nostra volontà di innovazione? Quante volte è un abuso di buonsenso a frenarci?
La nostra capacità di successo personale, di realizzare ciò in cui crediamo, è, tuttavia, sempre connessa con la paura di commettere errori: «If you’re not prepared to be wrong, you’ll never come up with anything original». Il modello del sistema educativo internazionale – dice Robinson – annulla tale possibilità, nega la creatività per evitare l’errore.

«Qualcuno (mi pare Majakovskij) ha detto: «Dio ci salvi dal maledetto buonsenso».
Se tutti fossero normali e se fossero dotati esclusivamente di buonsenso, non esisterebbero gli artisti e probabilmente neppure i bambini».

Sotto le ciglia chissà, Fabrizio De André

In un altro dei suoi tre interventi per TED Sir Ken Robinson sottolinea come i programmi scolastici improntati sullo sviluppo personalizzato dei talenti e delle capacità dei ragazzi siano definiti come “alternativi”, quando invece l’obiettivo della scuola deve essere proprio accompagnare i giovani a scoprire la propria indole e fiorire, costruire il proprio futuro a partire da sé stessi. Il compito di un educatore, secondo una famosa metafora attribuita a Plutarco, non è riempire dei vasi, ma accendere dei fuochi, fare in modo che i giovani sprigionino la propria creatività ed energia.

«Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido».

Albert Einstein

Il nostro sistema scolastico consente di sviluppare i talenti specifici di ogni giovane o li soffoca? Fornire agli studenti le abilità necessarie per accedere ai test universitari è davvero l’unico obiettivo della nostra scuola?
Molti di noi hanno avuto insegnanti che possono definire come maestri di vita, veri e propri ispiratori, di quelli per cui si prova grande stima e affetto per tutta la vita. È a scuola che impariamo lo spirito critico con cui ci approcciamo al mondo ed è questo che ci permette di capire chi siamo. Tuttavia sono molti, forse i più, quelli che ricordano l’esperienza scolastica come traumatica e certi insegnanti come cattivi, troppo severi e mai in grado di comprendere le esigenze dei ragazzi.
In base a quanto già esplicitato, è presto detto che ciò va fatto risalire a un sistema scolastico troppo basato sulla nozionistica, sulla quantità di sapere standardizzato, su capacità richieste, ma non dovute, un’imposizione di sapere da immagazzinare passivamente, riflesso di un sistema educativo-industriale che cerca di formare i giovani in base a dei preconcetti di valore e cultura istituzionalizzati. Ci stiamo muovendo verso un’evoluzione da questa situazione? La progressiva uniformazione dei test su scala nazionale (dalle prove invalsi, non sempre utilizzate a fini statistici, all’esame di maturità, la tappa più nota per ogni studente) sembra dirci di no.
Permettere di personalizzare i percorsi è un dovere del sistema scolastico. Quando questo non avviene, i giovani sono spesso stigmatizzati per gli scarsi risultati ottenuti o vivono con difficoltà la dimensione scolastica. Ciò comporta una perdita d’interesse e, in non pochi casi, la rinuncia agli studi, sentiti come non necessari perché non stimolanti rispetto al proprio talento e alla propria creatività. A tal proposito, non è da sottovalutare il dato per cui l’Italia è tra i primi tre paesi in Europa per abbandono scolastico, alle spalle di Malta e Spagna.

«Come si scopre il talento?»

L’unico consiglio universalmente valido può essere quello di assecondare la propria indole, senza paura di sbagliare, decidendo di intraprendere la strada che più si desidera e per la quale ci si sente più adatti. La scuola può aiutare in questo e spesso sono proprio i cosiddetti “metodi alternativi” a farlo.

Un esempio di questi è il metodo Montessori sviluppato da Maria Montessori nella prima metà del secolo scorso e convalidato scientificamente da uno studio del Dipartimento all’Educazione del governo USA nel 1978. Il primo obiettivo del metodo è accompagnare la crescita del bambino, assecondandone la spontaneità, aiutandolo, maieuticamente, a trovare sé stesso. L’autorevolezza del metodo è attestata anche dalle tante e varie personalità che sono cresciute in contesti montessoriani, quali per esempio Gabriel García Márquez, Marco Pannella, George Clooney, Larry Page e Sergey Brin, Taylor Swift, Stephen Curry e molti altri.

Sir Ken Robinson racconta di come Gillian Lynne, ballerina e coreografa di opere come Cats e The Phantom of the Opera, scomparsa nel 2018 e da lui conosciuta personalmente, abbia scoperto il proprio talento. Per i canoni rigidi dei suoi insegnanti, negli anni 30, Lynne doveva avere problemi di apprendimento, perciò consigliarono a sua madre di portarla da uno specialista. Il dottore non diagnosticò alcun disturbo, anzi, mostrò alla madre come la bambina si muovesse una volta lasciata da sola con la radio accesa e le suggerì di iscriverla a una scuola di danza. Gillian seguì il percorso indicatole ed oggi è ricordata come una delle più grandi autrici del teatro musicale.

«E coloro che furono visti danzare vennero giudicati pazzi da quelli che non potevano sentire la musica».

attribuita a Friedrich Nietzsche